Cominciamo meglio! translated
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Il giornale di sabato con la notizia della riapertura della frontiera di Birgunj |
Human Traction goes on!

L’inverno è arrivato anche a Lilliput, così abbiamo provveduto a fornire ai nostri piccoli amici tutto l’abbigliamento necessario. Due dei nostri volontari hanno visitato la casa d’origine del più grande dei nostri ragazzi e, trovandola in condizioni disastrose, causa terremoto, si è deciso di finanziarne la ricostruzione.
A tutti coloro che ci seguono vorrei trasmettere la gioia che si prova nel guardare i ragazzi crescere, guardarli negli occhi mentre noi tutti li sorreggiamo nel loro andare avanti, sforzandoci di non fargli mancare nulla. Personalmente ho ricevuto tanto da loro e sicuramente, in questi 2 mesi a Lilliput, abbiamo raggiunto così tanti traguardi grazie a voi e ai vostri sforzi. Andate avanti, andiamo avanti! Un grazie a tutti voi e a Human Traction! Stay tuned!
Standby Nepal
Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok |
Le macerie della casa di Maya, Sindapalchok |
La casa vecchia casa di Maya, Sindapalchok |
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Maya nella sua casa attuale |
Un post dall’Health Post

Aspettando Godot…ed un autospurgo!
NON C’E’ PACE SUL TETTO DEL MONDO
fila al distributore, photo credit The Himalayan Times. |
TEMPI DURI – HARD TIMES (translated)
Secondo l’interpretazione della maggior parte delle Sacre Scritture induiste, tra cui i Veda, il Kali Yuga (lett. “era del demone Kali” o anche era del ferro) è l’ultimo dei quattro yuga; si tratta di un’era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale. Anche in Nepal le cose non sono mai state facili, gli ultimi decenni poi sono stati terribili. 10 anni di guerra civile terminata nel 2006, hanno lasciato il Paese allo sbando in mano a una classe politica paragonabile a quella italiana. Litigano e mangiano sulle spalle della gente che da sempre vive con acqua e luce razionate ed è da un decennio che non riescono neanche a scrivere la costituzione.
Come se non bastasse i terremoti del 25 Aprile e 12 Maggio hanno inferto un altro duro colpo ad un Paese già in ginocchio.
A quattro mesi dalla catastrofe e milioni di euro stanziati per la ricostruzione, sulla piazza simbolo di Kathmandu si vedono solo poche impalcature di bambù e, neanche tutti i giorni, pochi omini in ciabatte che spingono carriole di mattoni oltre al muro di cinta del Taleju temple. Anche gli altri templi crollati sono in stato di abbandono come il bellissimo Kal Mochan. Nei palazzi del potere si sta scrivendo l’ennesima bozza di costituzione con la pressione della comunità internazionale che minaccia di non elargire altri fondi nel caso non fosse ratificata. Dio Dollaro li ha rimessi al lavoro, i risultati sono inquietanti. La prima bozza proposta i primi di agosto divideva il Paese in 6 province con il malcontento delle etnie del sud che lamentano, ancora un volta, l’accentramento del potere nelle mani della valle di Kathmandu. Poi sono state proposte sette province ma le tensioni, sopratutto al sud, continuano violente. Negli scontri di due giorni fa sono stati uccisi diversi poliziotti nel distretto di Kailali, la settimana scorsa la polizia ha ucciso tre manifestanti a Surkhet. La tensione aumenta alimentata anche dalla disputa creata dall’India che spinge per la creazione di uno Stato induista. In un Paese raro esempio di pacifica coesistenza millenaria di molte religioni, questo suona come un altro brutto campanello d’allarme.
Mentre il mondo si è da un pezzo dimenticato del Nepal, chi dovrebbe costruirlo, o ricostruirlo dall’interno, continua solo
a speculare e a rimetterci sono sempre i più poveri ed indifesi.
Come accadde ad Haiti e in altri luoghi martoriati, la macchina dei grandi aiuti, quando si è mossa, lo ha fatto in maniera discutibile. Il World Food Program ha consegnato tonnellate di riso avariato, l’ambasciata Svizzera, per citarne una, ha consegnato scatole di pasta liofilizzata, caramelle e caffè in grani.
(I Nepalesi non mangiano pasta e non bevono caffè). Le grandi associazioni arrivano solo dove arrivano le strade, grandi jeep, grandi progetti sulla carta, grandi esperti, grandi meeting in hotel a 5 stelle e grandi stipendi. Un’ amica nepalese che per lavoro ha a che fare con ong, mi ha detto disgustata che ad ogni meeting solo con la spesa per i cubetti di ghiaccio, una famiglia nepalese ci mangerebbe un mese. Cubetti di ghiaccio, immaginate il resto!
Se mai questo Paese si rialzerà sarà grazie alla resilienza, la forza del popolo e l’aiuto di singoli e piccole associazioni che stanno mettendo cuore e sudore a fianco della gente, giorno per giorno creando nuove speranze per una vita migliore.
Come temevamo il 25 Aprile, il terremoto non è il male maggiore, stavamo già messi male prima e quella che poteva essere un’occasione per un rinascimento atteso da decenni, si sta rivelando una vana speranza. Questo piccolo Paese malato e meraviglioso, patria di grandi contrasti ,è lo specchio del nostro mondo, un Paradiso che stiamo trasformando in inferno con le nostre meschinità umane.
Ma niente panico, gli studiosi dei Veda e delle scritture sacre indiane danno come data più gettonata della fine del Kali Yuga il 2025. La ruota gira, tornerà l’età dell’oro, gli uomini vivranno in pace e saranno spiritualmente più elevati.
Noi nel nostro piccolo non vogliamo farci trovare impreparati per la nuova era: a scuola e all’ostello stiamo imparando a fare i bisogni dentro al gabinetto, buttare l’immondizia nei cestini e smettere di scatarrare fragorosamente.
Stiamo studiando il modo migliore per ricostruire le due aule, l’ufficio e la cucina della scuola danneggiate dal terremoto. Nel tempo libero impariamo a suonare la chitarra e nuovi movimenti di break dance così cantando, ballando e lavorando, scacciamo i demoni dei brutti pensieri e un passo alla volta, con il vostro aiuto da lontano, costruiamo il futuro che sognamo.
According to the interpretation of most Hindu Scriptures, including the Vedas, the Kali Yuga – literally, “the Age of the Eemon Kali”, or Iron Age – is the last of the four yugas, a dark age, characterized by numerous conflicts and by widespread spiritual ignorance. In Nepal things have never been easy, and the last decades have been terrible. The ten years of civil war ending in 2006 have left the Country floundering in the hands of a political class comparable to that of Italy. A decade of fighting and of thriving at the expense of the people (who continue to live with rationed water and electricity), in which they haven’t even got round to writing the Constitution. As if that weren’t enough, the earthquakes of 25 April and 12 May have dealt another blow to a Country already on its knees. Four months after the catastrophe, with millions allocated for the reconstruction, there is nothing to show in the square, the symbol of Kathmandu, but the occasional bamboo scaffolding and the erratic presence of a few men in flip-flops, pushing wheelbarrows of bricks over the wall surrounding the Taleju temple. In the corridors of power, the politicians are drafting yet another Constitution under pressure from the international community, which threatens to withhold further funds if it is not ratified soon. The Dollar deity has put them to work, but results are disturbing. In the first draft, proposed in early August, the Country was divided into six provinces, causing unrest among peoples of the South who, once again, resent the centralization of power in the Kathmandu Valley. Then seven provinces were proposed, but there continues to be tension, especially in the South. Two days ago several policemen were killed during clashes in the Kailali district, and last week the police killed three protesters in Surkhet. Tension is also fuelled by India’s demanding the establishment of a Hindu State. In a Country that is a rare example of peaceful coexistence among different religions, this sounds another ominous warning. While the world has long forgotten Nepal, those who should rebuild the Country from the inside out merely continue to speculate at the expense of the poorest and the most vulnerable. As already witnessed in Haiti and in other places, once the cumbersome aids machine gets moving, it does so in a questionable manner. The World Food Program delivered tons of rotten rice, while the Swiss Embassy – to name but one – donated dried pasta, candy and coffee beans (but the Nepalese don’t eat pasta and don’t drink coffee). We see important humanitarian associations that only go as far as the roads go, important jeeps, important projects on paper, important experts, important meetings in 5-star hotels, important salaries. Disgusted, a Nepalese friend working with NGOs told me that the mere cost of ice cubes for one of these meetings would feed a Nepali family for a month. Ice cubes: imagine the rest! If ever this Country will rise again, it will be thanks to the strength and resilience of its people and to the help of individuals and small associations putting their heart and sweat into this cause, creating new hopes for a better life. As we feared on the 25 April, earthquakes are not the greater evil: things were bad enough before, and what might have been an opportunity for a long-awaited renaissance is turning out to be a vain hope. This small, ailing Country, home to great contrasts: the mirror of our world, a wonderful paradise that human meanness is transforming into hell. But let’s not panic: scholars of the Vedas and Indian Scriptures indicate 2025 as the most likely date for the end of Kali Yuga. The wheel turns, the golden age will return, and men will live in peace and in a loftier spiritual elevation. In our own small way, we are preparing for this new era. At our school and hostel, the children are learning to use the toilet, to throw waste into the garbage bin, and not to expectorate loudly. We are studying the best way to rebuild the two classrooms, the office and school kitchen damaged by the earthquake. In our spare time we are learning to play the guitar, practising new break-dance movements, singing, dancing and working, to banish the demons of negative thoughts so that, one step at a time and with your help from afar, we can build the future of our dreams.
Il Paese del riso e della Speranza
Il verde è il colore della speranza. In Nepal ne abbiamo da vendere, sia di verde che di speranza. Il mare sgargiante del riso che cresce nei campi è quasi accecante e neanche il terremoto ha oscurato il sorriso di questo popolo incredibile. Da anni la nostra vicina di (ex)casa di tanto in tanto ci invita a cena, così l’altra sera siamo stati ospiti nella sua nuova casetta di lamiera. Avrei voluto avere una telecamera per registrare e farvi sentire la conversazione con il marito:” Io so che in Giappone e in Europa siete ricchi, potete comprare tante cose e avete tante comodità ma siete sempre in tensione, sempre di corsa, sempre al lavoro. Noi siamo poveri ma siamo più liberi, siamo più shanti”. Il saggio omino ci ha visto bene ma non sa che in realtà in occidente oltre a essere poco liberi e shanti, tante volte siamo anche poveri…
Dove c’è cucina, c’è casa! Home is where your kitchen is
Translation at the bottom.
Sono 4 anni che tengo questo blog ed ogni post è un parto perché è difficile trovare le parole per descrivere emozioni e dinamiche di vita così diverse dalle nostre. Raccontarvi il Nepal post terremoto è ancora più difficile perché lo sto ancora assimilando e studiando. Attraverso questa fase di osservazione posso studiare i modi migliori per intervenire subito e per continuare a pianificare un futuro migliore alla luce delle nuove dure realtà. Come vi aveva già raccontato Giona che era presente durante i terremoti, i ragazzi stanno bene, il nostro ostello non ha riportato danni ed i lavori per i bagni sono quasi terminati. La casa sede di Human Traction invece purtroppo è stata danneggiata, la nostra felice cucina gialla ha delle crepe paurose per non parlare del pavimento divelto del bagno e la colonna con mattoni penzoli al pian terreno . Così con il magone e in uno stato di incredulo shock, ho fatto il trasloco dei nostri pochi averi trasferendo tutto nella stanza vuota dell’ostello che avrebbe dovuto presto ospitare l’aula computer. Da sola sarebbe stato un compito triste e faticoso invece, grazie all’energia e alla positività disarmante dei ragazzi, l’abbiamo trasformato in un gioco. Anzi, il fatto della cucina l’hanno preso molto seriamente, in due ore hanno smontato e rimontato il tavolone, portato la bombola del gas e tutto il necessario ” così ci facciamo subito un bel piatto di pasta!”
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le crepe della cucina kitchen cracks |
Dove c’è cucina, c’è casa Home is where your kitchen is |
25 Aprile 2015, Il giorno della distruzione.
* A chi ci conosce ora consiglio di leggere i post vecchi per capire perché chiamiamo il villaggio Lilliput e perché io mi firmo Vittoria.J